giovedì 30 ottobre 2014

F.S.

F di Freud, S di scopare, o meglio, scrivere


E' arrivato il momento di svelare il motivo delle mie decisioni, ASSOLUTAMENTE volute. Mi sto impegnando...su altri fronti, é chiaro amiche?

Questo lo aggiungo così, SOLO per sdrammatizzare, non perché ci creda veramente...


...non trovo lo smile con la lacrimuccia

mercoledì 29 ottobre 2014

Terra e sale

"...perché in fondo gli uomini sono il sale della terra"
 Sebastiao Salgado

Forse questo è il motivo per cui gli esseri umani non vivono nel mare. Non ce ne sarebbe bisogno.

Sedute sullo sgabello di un bar si discute sul mestiere dei fotografi, quelli seri, i reporter. Un'amica parla, lo sguardo concentrato verso la sua interiorità, più che in direzione dei gesti già precisi per girare la cartina attorno alla poltiglia di tabacco. Rollare sigarette è un'arte che mi affascina quando assume la disinvoltura dei movimenti meccanici. Fa parte di quelle situazioni creative che danno vita ad oggetti precedentemente inesistenti. Un minuto e la cosa inizia ad esistere, per sottostare alle rigide regole del tempo che passa, se l'utilizzo non ne determina la fine attraverso il consumo. E poi la fine della sigaretta è così umana che mi commuove, ceneri buone solo a scomparire nell'eterno.

"ho visto la mostra di Mittica di recente, Ashes, l'hai vista?"
"no" risposi
"un reporter che è andato nei territori di guerra e di disastri naturali come Chernobyl, per documentare e denunciare gli abusi degli uomini. Non riesco a capire come una persona sia in grado di testimoniare delle situazioni così crude. Io non so se ce la farei. Cosa sente uno che fa questo mestiere, quali sono le motivazioni che lo spingono a scattare, davanti alla miseria umana? Io mi pietrificherei di fronte a tutto ciò".

Cara amica ieri sono andata a vedere il film di Salgado "Il sale della terra", lui può mostrarti la sua personale risposta. Io ti scrivo la mia.

La spinta della passione per le immagini non è che un espediente attraverso il quale filtrare la realtà.  Egli nel documentario parla di vari progetti, ma ci sono due frammenti che hanno catturato la mia sensibilità. In una foto, come in un girone dell'inferno dantesco, ritrae una cava di estrazione dell'oro e commenta più o meno così "lì nessuno è schiavo, nessuno è obbligato a fare quel lavoro. L'unica schiavitù di cui si può parlare dipende dall'oro. Se uno trova un filone d'oro, tutta la squadra potrà scegliere un sacco da portare a casa. In quel sacco potranno esserci pepite preziose o solo della terra".

Molti anni dopo, in un progetto chiamato "Migrations", porta alla luce l'ignobile verità del genocidio perpetrato tra Ughanda, Rwuanda e Congo nel conflitto tra Hutu e Tutzi. Stupiscono le morti violente, ma ancor più i decessi dovuti alla fame ed alle epidemie. Il corpo di un bimbo legato da una corda come un pacco, mostra le pieghe molli della pelle attaccata allo scheletro in corrispondenza del laccio che stringe. Quasi non ci puoi credere che la membrana che tiene assieme il tuo corpo possa ridursi in quelle condizioni.
 In un'altra foto un padre porta la salma del figlio verso una catasta di altri cadaveri, come se stesse facendo un gesto già pevisto. Non si annusa umanità in quella scena.

Salgado attraverso la sua lente coglie la perdita dell'essenza nell'uomo, non c'è più la dignità nel benedire la vita ed affliggersi per la morte. Dice di esser tornato con lo spirito malato da una simile esperienza. Il desiderio di riacquistare fiducia lo porterà in giro per il mondo altri otto anni col progetto "Genesis", per documentare le meraviglie della natura sulla terra.

Penso che vivere il male ti succhi linfa vitale e l'unico modo per rigenerarsi sia agire per arginare questo fiume dalle inesorabili risorse. Molto spesso ciò comporta una danza ambigua, in cui non sai più se stringere la mano alla morte sia vita o semplicemente il movimento di una coreografia di cui non vorresti far parte.
Credo, allora, che per assolvere i propri scopi sia necessario mescolarsi, confondersi per conoscersi, senza paura delle conseguenze. Alla fine la tua essenza ne uscirà vincitrice.


Weddel sea, Antartic Peninsula, 2005

martedì 28 ottobre 2014

Radici aeree, rami terreni

L'ho visto, perciò esiste. Ed io voglio essere così!
Un albero con le radici fine, tutte incrociate a formate un reticolo a mezzometro da terra, sul quale poggia il fusto diretto in cielo. Si perché non è mica che uno deve per forza affondare le radici in profondità, sempre nello stesso humus che poi, a lungo andare, diventa pure sterile se le foglie, sempre verdi, non cadono per ripristinare il ciclo vitale.

Io sono nata così, sotto le stelle cadenti. Mi hanno insegnato a lasciare strisce nel cielo sfrecciando veloci. Giro da un posto all'altro, senza sosta, mi s-posto a piedi, in macchina, in treno, scivolo sull'acqua quando nuoto. Non mi rendo più conto che il tempo è composto da multipli di sessanta. Prendo i mezzi quando passano, vivo tutto senza attesa.

Sorrido al sole caldo, rido alle battute che mi ritraggono come una vagabonda, mi incupisco nel vedere segni di chiusura, delle volte mi impensierisco perché i denari sono insufficienti a coprire le distanze dei legami. Sto con tutti, mi rifugio in pochi posti, quando mi stanco di essere, gioco a nascondino dietro braccia avvolgenti. 

Andare diventa un esigenza tormentosa, nell'equilibrio tra la voglia di scoprire e il desiderio di decantare le emozioni. Così mi struggo, provando ad ascoltare il consiglio di "accettare il presente" che Osho mi sussurra nei suoi libri e la pulsione di mangiare conoscenza attraverso le esperienze. Voglio stare, ma devo andare.

Non provo il desiderio di riparo. Mi sento protetta solo quando sono tra le cure degli stranieri alla mia vita, che come me, si affidano ai viandanti senza farsi troppe domande.

Non ho bisogno di casa per stare bene, ma ho bisogno di un tempio lontano dall'immagine immaginata di come l'uomo deve vivere.

Cerco quiete tra il verde e l'azzurro, il vento caldo, l'aria salata e una terra rossa che sussurra vita.

Non ho un equilibrio esterno, ma nemmeno uno interno. Brancolo, posseduta da passioni che mi chiamano alla danza creativa, scuotono i miei rami e proseguono oltre, senza lasciare grossi segni.

Dei giorni sono persa. Quel senso appagante di amore universale mi abbandona, sputandomi fuori dall'occhio del ciclone come un'inutile carcassa. Botte ricamate sul mio spirito, vantano la meticolosità degli eventi che le hanno provocate. 

Torna la spinta a partire, la frenesia della novità, destinazioni e progetti si accavallano come quelli di un agente in missione. Io, che mi credo in missione da una vita. Quella stessa esistenza piena di parentesi in cui si comincia sempre da zero, insieme di giorni la cui bellezza va crescendo e sprigiona una felicità ribelle dura da estirpare.

Mi chiamano nomade, mia madre al solo sguardo le viene un nodo alla gola. Andare, è una forza che trascende il mio orizzonte. Penso che non ce la farò mai a confermare i miei talenti, probabilmente, non aspetto nemmeno questo.

" I viandanti vanno in cerca di ospitalità
nei villaggi assolati
e nei bassifondi dell'immensità
e si addormentano sopra i guanciali della terra
forestiero che cerchi la dimensione insondabile.
La troverai, fuori città
alla fine della strada"

Yuri Camisasca







domenica 26 ottobre 2014

Elogio dei piedi

Capita, in alcune fasi della vita, di andare senza seguire un sentiero segnato. Siamo condotti da facoltà che la ragione relega al rango di sprovveduti subalterni, per questo i passi si fanno lenti ed incerti. Quando lasciamo loro spazio, prosperano come menta nei campi, pervadendo ogni anfratto delle nostre insicurezze. Succede che saliamo sulle ali della passione, ci sediamo a percepire il mondo con lo sguardo dell'intuito, cogliamo gioie con la lente del cuore, agiamo con la velocità dell'istinto primordiale, sentiamo l'umore di tutto ciò che ci circonda. Ci fregiamo d'imprese che "gli altri" chiamano impossibili. I piedi portano oltre la ragione, permettono all'uomo di varcare l'esile soglia del concepibile.


Amore


venerdì 24 ottobre 2014

Giovedìpizza

Capita da qualche tempo che la pizza fatta in casa sia un apprezzato lasciapassare in cambio di ospitalità. L'impasto è sempre lo stesso, purtoppo non è facile trovare le farine adatte. Io preferisco quella del mulino Marino tipo 2 per pizze e focacce. Lo faccio morbidissimo, trovo che l'alta idratazione renda la pizza nel forno di casa soffice e croccante. E poi preparo l'impasto indiretto, permette di far assorbire maggiori quantità di acqua alla farina. Preparo la pasta la sera prima e la metto in frigo a lievitare in un contenitore non più grande dell'impasto, ben stretto.


1 kg farina
650/700 gr acqua (la dose dipende anche dall'umidità)
8 gr lievito di birra
25 gr sale
olio E.V.O. qualche volta

Impasto metà farina con 500 gr d'acqua e lascio riposare un paio d'ore
Aggiungo il resto tranne il sale
Manipolo un pò e poi aggiungo il sale

Lavoro sul pianale per 15 minuti circa. Quando la pasta mi dice che è pronta la metto a riposare. E' appiccosa, bisogna trattarla con movimenti veloci e mani piatte.

Succede che a casa dei miei ospiti ci sono sempre amici, o amici di amici e così si stende, si taglia la mozzarella, viene indetto un sondaggio per i gusti con un calice di rosso in mano e qualche fetta di salame tra le fauci. Si, ogni furto dev'essere ben congeniato e attuato all'insaputa del padrone di casa, attento affinché non manchi nessun ingrediente ad insaporire la succulenta pietanza.
Quando non riesco a trovare passaggi con blablacar, per giungere dai miei ospiti, prendo il treno. Giusto ieri il mio contatto blabla mi ha tirato il pacco ed al posto di pagare 4 euro ho speso il doppio. Il treno. Sempre più caro, sempre più scassato ed umanamente poco sostenibile. Raccontavo che una tratta di 80 chilometri per un'ora e dodici di strada mi costa ormai  7,4 euro. Nell'ultimo anno è aumentato di un euro. Si  è imbastita una discussione interessante su come reagire alle ingiustizie umane, qual'è il modo costruttivo di comportarsi di fronte a questi atteggiamenti?

"bastardi, maledetti, devono morire tutti quelli di treni telia" ha esordito il padrone di casa con la voce mite di uno che non ha la stoffa del cattivo, nemmeno con questi improperi in bocca
"non dire così, guarda che se maledici è pessimo karma" risposi io con tono misto tra provocazione e verità
"ma scusa le ingiustizie vanno dette e denunciate, se sono dei bastardi bisogna dirlo e basta. Non si può accettare in maniera passiva tutto ciò che succede"
"si sono d'accordo, ma io credo che spesso le rivolte silenziose sortiscano effetti molto più efficaci"
"e ma come fai ad accettare certi abusi, bisogna usare la forza, fare casino quando le cose continuano ad essere invariate" ribbatté il mio interlocure in jeans e felpa grigia
"guarda Mandela, ha organizzato una rappresaglia violenta. Una volta che il partito si era reso conto che la protesta silente era inutile e la gente veniva ammazzata, han deciso di rendere il favore" aggiunse Centa, l'avvocato senza cravatta
"si certo, non sto parlando di grandi cause. Sono d'accordo che delle volte l'azione feroce fornisca un argine alla violenza ingiustificata. Dico solo che, nella grande maggioranza dei casi, nella vita è meglio cercare uno sfogo personale alla propria rabbia ed imboccare una strada condivisa per protestare. Essere considerati degli outsider non aiuta a migliorare il sistema, è meglio farne parte integrante e da lì agire sommessamente. Secondo me, la credibilità è la miglior arma per attuare cambiamenti". 
Le voci fuori dal coro non piacciono, specie se non hanno delle fondamente socialmente riconosciute.

Il giovedìpizza mi piace, è bello discutere con i miei amici!



Irene e il mare

Ieri un'amica mi ha chiesto se potevo mandarle qualcosa per evadere dal suo stato d'animo. Non potendo lasciar fluire i miei pensieri attraverso una tastiera, ho fatto una foto di questi quattro segni d'inchiostro e gliel'ho mandata. Ho pensato che avevo bisogno di un cassetto dove stipare qualche soffio di emozione.

P.S. In italiano la forma corretta è inondare, e non innondare. Perché nella vita non bisogna cancellare gli errori, ma semplicemente ammettere di averli fatti.