domenica 21 dicembre 2014

Wind, sand and stars



Credits: ESA/NASA

That is my planet.

I gaze lovingly at the surface with its boundless and beautiful colours. How many times have I explored its borders as the dawn immortalises its curves, glowing in an indescribable light-blue that is perfectly outlined by the light of iridescent mesospheric clouds: the colour of infinite patience.

Shrouded in silence I look out: I feel our planet’s heart beat as I watch the vital water run along infinite veins across the land, nourished and protected by the clouds that cover Earth’s surface like the cloak of a vestal virgin. Its breathing is calm and eternal like the tides but large as ocean waves. It holds the power of winds that sweep sand from a hundred deserts to the tops of a thousand mountains in one breath.
In a few hours, all this will be a memory. My spaceship is quiet and dark in waiting, but soon it will turn into a dramatic theatre when we return to Earth. Everything that has a beginning must come to an end: this fragility makes each experience unique and even more valuable.

I try to fill my eyes, my mind and my heart with the colours, nuances and sensations so that my memories will be witness to the experience. Underneath me on Earth, lands merge: country boundaries are non-existent when you look down from up here in the Cupola. I observe the lands of men.

I always feel the irresistible attraction of the sky and stars when I look up on Earth. I encourage my mind to lose itself in the infinite and the unknown. It is in our nature, our Ulysses gene. Nonetheless, Ulysses returns to Ithaca after many travels: his island always in his dreams. If I had been born in the interstellar darkness, if I had spent my entire life traveling far from our world, I would look back at our bright-blue waters and diverse continents with the same admiration. Every sunrise and every sunset would instil the same sense of awe. I would dream of sinking my feet in the warm sands, to feel the cold embrace of snow and the caress of the salty sea-breeze that blows towards land. I would wonder how it feels to bathe in its waters, to bask in the warmth of the Sun.

But I am lucky: I was born there.

Luca Parmitano

Quello è il mio pianeta.

I miei occhi accarezzano amorevolmente la sua pelle dalle sconfinate e magnifiche tonalità. Quante volte con lo sguardo ne ho esplorato i confini, di un azzurro indescrivibile, mentre l’alba ne immortalava le curve, delineate perfettamente dalla luminescenza delle nubi mesosferiche, splendide, cangianti: il colore di una pazienza senza tempo e infinita.

Osservo nel silenzio della mia postazione: so che il suo cuore pulsa invisibile, e scorgo la linfa vitale scorrere nelle infinite vene che attraversano le sue terre, alimentate e protette dalle nubi, che la ricoprono come il manto di una vergine vestale. Il suo respiro ha il ritmo calmo ed eterno delle maree, la grandezza delle onde oceaniche, la potenza dei venti che spazzano in un soffio le sabbie di cento deserti, le cime di mille montagne.

Fra poche ore, tutto questo sarà un ricordo. La mia astronave mi attende, per adesso quieta e buia, ma presto teatro dinamico e drammatico del mio rientro a terra. Tutto quel che ha un inizio, deve necessariamente finire: una meravigliosa fragilità che rende ogni esperienza unica, e per questo ancora più preziosa.

Adesso, però, cerco ancora di riempirmi gli occhi, la mente e il cuore di colori, di sfumature, sensazioni. Perché restino con me, che ne possa testimoniare. Le terre emerse si confondono l’una nell’altra, i confini, arbitrari e immaginari, del tutto inesistenti da qui, mentre le osservo dalla Cupola. Osservo le terre degli uomini.

Dalla Terra, guardando verso il cielo e le stelle, ne ho sempre sentito l’attrazione irresistibile, ho incoraggiato la mente a perdersi verso l’infinito e l’ignoto. È la nostra natura - il gene di Ulisse. Ma anche Ulisse, dopo tanto viaggiare, torna a Itaca: e a lungo sogna la sua isola. Se fossi nato tra gli spazi dell’impenetrabile nero interstellare, se avessi passato tutta la mia vita viaggiando lontano dal nostro mondo, osserverei con lo stesso sguardo ammirato che ho adesso le sue acque azzurre, i suoi continenti così variegati. Ogni alba e ogni tramonto mi regalerebbero lo stesso stupore atavico. E sognerei di sprofondare i piedi nelle sue sabbie calde, di sentire il gelido abbraccio delle sue nevi, e la carezza salmastra delle brezze che dal mare si spingono verso la terra. Mi chiederei cosa si prova a immergersi nelle sue acque, a scaldarsi al calore del suo sole.

Ma sono fortunato: io sono nato lì.

Quello è il mio pianeta. Quella è casa mia.

 "I miei occhi accarezzano amorevolmente la sua pelle dalle sconfinate e magnifiche tonalità. Quante volte con lo sguardo ne ho esplorato i confini, di un azzurro indescrivibile, mentre l'alba ne immortalava le curve, delineate perfettamente dalla luminescenza delle nubi mesosferiche, splendide, cangianti: il colore di una pazienza senza tempo e infinita".

"Osservo nel silenzio della mia postazione: so che il suo cuore pulsa invisibile, e scorgo la linfa vitale scorrere nelle infinite vene che attraversano le sue terre, alimentate e protette dalle nubi, che la ricoprono come il manto di una vergine vestale".

"Il suo respiro ha il ritmo calmo ed eterno delle maree, la grandezza delle onde oceaniche, la potenza dei venti che spazzano in un soffio le sabbie di cento deserti, le cime di mille montagne. Fra poche ore, tutto questo sara' un ricordo - scrive Parmitano -. La mia astronave mi attende, per adesso quieta e buia, ma presto teatro dinamico e drammatico del mio rientro a terra. Tutto quel che ha un inizio, deve necessariamente finire: una meravigliosa fragilità che rende ogni esperienza unica, e per questo ancora più preziosa".

"Adesso, però, - prosegue nella lettera - cerco ancora di riempirmi gli occhi, la mente e il cuore di colori, di sfumature, sensazioni. Perché restino con me, che ne possa testimoniare".

"Le terre emerse si confondono l'una nell'altra, i confini, arbitrari e immaginari, del tutto inesistenti da qui, mentre le osservo dalla Cupola. Osservo le terre degli uomini. Dalla Terra, guardando verso il cielo e le stelle, ne ho sempre sentito l'attrazione irresistibile, ho incoraggiato la mente a perdersi verso l'infinito e l'ignoto. E' la nostra natura - il gene di Ulisse. Ma anche Ulisse, dopo tanto viaggiare, torna a Itaca: e a lungo sogna la sua isola".

"Se fossi nato tra gli spazi dell'impenetrabile nero interstellare, se avessi passato tutta la mia vita viaggiando lontano dal nostro mondo, osserverei con lo stesso sguardo ammirato che ho adesso le sue acque azzurre, i suoi continenti così variegati. Ogni alba e ogni tramonto mi regalerebbero lo stesso stupore atavico. E sognerei di sprofondare i piedi nelle sue sabbie calde, di sentire il gelido abbraccio delle sue nevi, e la carezza salmastra delle brezze che dal mare si spingono verso la terra. Mi chiederei cosa si prova a immergersi nelle sue acque, a scaldarsi al calore del suo sole. Ma sono fortunato: io sono nato lì. Quello è il mio pianeta. Quella è casa mia". - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-c1af8ffc-2bff-4d67-ac96-f028f9b0604e.html#sthash.qpebSBZa.dpuf
 "I miei occhi accarezzano amorevolmente la sua pelle dalle sconfinate e magnifiche tonalità. Quante volte con lo sguardo ne ho esplorato i confini, di un azzurro indescrivibile, mentre l'alba ne immortalava le curve, delineate perfettamente dalla luminescenza delle nubi mesosferiche, splendide, cangianti: il colore di una pazienza senza tempo e infinita".

"Osservo nel silenzio della mia postazione: so che il suo cuore pulsa invisibile, e scorgo la linfa vitale scorrere nelle infinite vene che attraversano le sue terre, alimentate e protette dalle nubi, che la ricoprono come il manto di una vergine vestale".

"Il suo respiro ha il ritmo calmo ed eterno delle maree, la grandezza delle onde oceaniche, la potenza dei venti che spazzano in un soffio le sabbie di cento deserti, le cime di mille montagne. Fra poche ore, tutto questo sara' un ricordo - scrive Parmitano -. La mia astronave mi attende, per adesso quieta e buia, ma presto teatro dinamico e drammatico del mio rientro a terra. Tutto quel che ha un inizio, deve necessariamente finire: una meravigliosa fragilità che rende ogni esperienza unica, e per questo ancora più preziosa".

"Adesso, però, - prosegue nella lettera - cerco ancora di riempirmi gli occhi, la mente e il cuore di colori, di sfumature, sensazioni. Perché restino con me, che ne possa testimoniare".

"Le terre emerse si confondono l'una nell'altra, i confini, arbitrari e immaginari, del tutto inesistenti da qui, mentre le osservo dalla Cupola. Osservo le terre degli uomini. Dalla Terra, guardando verso il cielo e le stelle, ne ho sempre sentito l'attrazione irresistibile, ho incoraggiato la mente a perdersi verso l'infinito e l'ignoto. E' la nostra natura - il gene di Ulisse. Ma anche Ulisse, dopo tanto viaggiare, torna a Itaca: e a lungo sogna la sua isola".

"Se fossi nato tra gli spazi dell'impenetrabile nero interstellare, se avessi passato tutta la mia vita viaggiando lontano dal nostro mondo, osserverei con lo stesso sguardo ammirato che ho adesso le sue acque azzurre, i suoi continenti così variegati. Ogni alba e ogni tramonto mi regalerebbero lo stesso stupore atavico. E sognerei di sprofondare i piedi nelle sue sabbie calde, di sentire il gelido abbraccio delle sue nevi, e la carezza salmastra delle brezze che dal mare si spingono verso la terra. Mi chiederei cosa si prova a immergersi nelle sue acque, a scaldarsi al calore del suo sole. Ma sono fortunato: io sono nato lì. Quello è il mio pianeta. Quella è casa mia". - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-c1af8ffc-2bff-4d67-ac96-f028f9b0604e.html#sthash.qpebSBZa.dpuf
 Luca Parmitano
 "I miei occhi accarezzano amorevolmente la sua pelle dalle sconfinate e magnifiche tonalità. Quante volte con lo sguardo ne ho esplorato i confini, di un azzurro indescrivibile, mentre l'alba ne immortalava le curve, delineate perfettamente dalla luminescenza delle nubi mesosferiche, splendide, cangianti: il colore di una pazienza senza tempo e infinita".

"Osservo nel silenzio della mia postazione: so che il suo cuore pulsa invisibile, e scorgo la linfa vitale scorrere nelle infinite vene che attraversano le sue terre, alimentate e protette dalle nubi, che la ricoprono come il manto di una vergine vestale".

"Il suo respiro ha il ritmo calmo ed eterno delle maree, la grandezza delle onde oceaniche, la potenza dei venti che spazzano in un soffio le sabbie di cento deserti, le cime di mille montagne. Fra poche ore, tutto questo sara' un ricordo - scrive Parmitano -. La mia astronave mi attende, per adesso quieta e buia, ma presto teatro dinamico e drammatico del mio rientro a terra. Tutto quel che ha un inizio, deve necessariamente finire: una meravigliosa fragilità che rende ogni esperienza unica, e per questo ancora più preziosa".

"Adesso, però, - prosegue nella lettera - cerco ancora di riempirmi gli occhi, la mente e il cuore di colori, di sfumature, sensazioni. Perché restino con me, che ne possa testimoniare".

"Le terre emerse si confondono l'una nell'altra, i confini, arbitrari e immaginari, del tutto inesistenti da qui, mentre le osservo dalla Cupola. Osservo le terre degli uomini. Dalla Terra, guardando verso il cielo e le stelle, ne ho sempre sentito l'attrazione irresistibile, ho incoraggiato la mente a perdersi verso l'infinito e l'ignoto. E' la nostra natura - il gene di Ulisse. Ma anche Ulisse, dopo tanto viaggiare, torna a Itaca: e a lungo sogna la sua isola".

"Se fossi nato tra gli spazi dell'impenetrabile nero interstellare, se avessi passato tutta la mia vita viaggiando lontano dal nostro mondo, osserverei con lo stesso sguardo ammirato che ho adesso le sue acque azzurre, i suoi continenti così variegati. Ogni alba e ogni tramonto mi regalerebbero lo stesso stupore atavico. E sognerei di sprofondare i piedi nelle sue sabbie calde, di sentire il gelido abbraccio delle sue nevi, e la carezza salmastra delle brezze che dal mare si spingono verso la terra. Mi chiederei cosa si prova a immergersi nelle sue acque, a scaldarsi al calore del suo sole. Ma sono fortunato: io sono nato lì. Quello è il mio pianeta. Quella è casa mia". - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-c1af8ffc-2bff-4d67-ac96-f028f9b0604e.html#sthash.qpebSBZa.dpuf

Vorrei dire



 
Foto di Jacopo Gorini

E’ da un po’, si parla di anni, che quando cammino per strada ho una sensazione strana. La testa mi si ingombra di milioni di formiche operose, pizzicano le estremità del cavo oculare. Delle volte il fastidio strizza i muscoli della fronte e irrigidisce l’espressione del mio sguardo. Quando le lascio fare il loro lavoro affolla i nervi ed una tensione muscolare irritante s’impossessa della mandibola. Sento gli zigomi indolenziti, scavati come isole al centro del viso. Avverto il bisogno di distendermi, guardare su mi rilassa e trovo un sollievo piacevole. Quando appoggio la testa a terra anche il collo smette di sorreggere il cranio come un macigno. I muscoli rilasciano la presa, ma rimane memoria della stanchezza sopportata. Pulsano come stantuffi, dolgono come la paura di ciò che non conosco.

Oggi sono spossata e la morsa non mi abbandona nemmeno sul divano. Lo chiamano stress.

Si sono stressata. Allora mi chiedo da cosa?

Forse dal fatto che non sono stabile da troppo tempo, non ho casa mia, vestiti miei, ritmi miei, chiavi mie, un mio gatto, una mia macchina, dei soldi guadagnati da me.

Forse perché non ho un lavoro mio e ciò non mi permette di esprimere le mie abilità all’interno di una cornice prestabilita.

Forse perché non so cosa voglio e cosa sto cercando, ma soprattutto perché ho voluto io tutto questo ed ora il giudizio di me su me stessa pesa più di mille tribunali sociali. Mi giudico. In fondo mi sento un’incapace, una fallita che ha provato mille strade e si è innamorata ogni volta per troppo tempo. Mi sento andata, passata come un vino in aceto. Ho voluto una vita modellata sulla mia pelle ed ora che l’ho ottenuta non so gestirla. O meglio, il mio carattere non sa mettere tutto a posto con regolarità e normalità. Mi sento fuori posto perché mi vedo così. Non potrei vivere la vita di nessun altro, ma nemmeno quella che mi sono creata. Sono in crisi.

Crysis in greco significa separare, decidere cosa tenere dopo la mietitura del grano. La scelta dopo il taglio. Crisis.

La vita con me è stata abbondante ed io faccio fatica a trasformare ciò che ho tra le mani. Se solo capissi la direzione, forse riuscirei a risolvermi. Il problema è che ora la vita mi chiede di perdermi tra i meandri dei suoi mille inaspettati scenari. Ed io col mio surf, non scivolo sull’onda. Cado con litri d’acqua che mi spaccano la schiena e annaspo da sotto. Piccolo scheletro a nudo.

La vita vuole che io mi perda, io non lo voglio. Non lo si fare.

sabato 20 dicembre 2014

Nello spazio siderale






Desiderio dal latino -de -siderium ovvero mancanza di stelle.
Chi desidera tende alle stelle, anela alla meraviglia della bellezza

mercoledì 10 dicembre 2014

Le 100 città


"Affrancati da te stesso e dall’attesa.
Per amare la vita bisogna tradire le aspettative.
Guardati intorno e guardati da chi si professa libero.
Il sapore della libertà è la paura.
Solo chi ha paura della libertà ha il coraggio di inseguirla"

Scoperta recente


I boschi dell'anima


"le parole nel cuore sono parole, e sono il frutto segreto che ci rende la magia,
sembrava dire, nella sua serenità, l'albero"

I  boschi dell'anima




giovedì 4 dicembre 2014

Oltre gli schemi




Furono saluti rapidi, poco tristi, quel tragitto, in fondo, era concepito in solitario. Tutto il resto aveva lo stesso valore di un dono, rovinarlo col sentimento della mancanza sarebbe stato uno scempio.
“Ciao Frida, riguardati e non rimetterti troppo presto che voglio arrivare per prima a Santiago” ironizzò Irene.
"Non ci scommettere! Tu con quei piedi tutti incerottati hai poca autonomia. Ti raccoglierò da qualche parte sul ciglio della strada mentre implori soccorso”
“Seeee, ti voglio bene. Buen camino stellina”
“Ciao nina, tanto ormai perdersi è impossibile”

Mirco, Matteo ed Irene ripartirono silenziosi. Il sole era quello limpido del mattino presto, aveva già svelato ogni presenza sulla terra abitata.
Frida  appena fuori dall’uscio rimase immobile. La distanza che sottraeva gli amici alla sua presenza aveva il nome dell’abbandono. 
Li guardò scomparire inghiottiti dalla strada. Mosse i suoi passi verso il cortile della piccola chiesa di Hontanas, era la prima volta che si svegliava senza passare la giornata in cammino. Il viso umido si cullava ai raggi tiepidi di un mattino di settembre. Si sedette sulla panchina di pietra levandosi la fascia verde dalla testa e la strizzò tra le mani. Anche  in quella torrida Spagna, lontano dal ricordo di suo padre e dal suo uomo si sentì abbandonata. Era successo un’ennesima volta, sempre lo stesso stupido schema. L’avevano accompagnata come delle guide pazienti, l’avevano fatta innamorare ed ora la lasciavano come si abbandona un cane. Non rivelò mai quel sacro dolore che custodiva come un gioiello. Si perché quella separazione se l’era cercata, era arrivata dopo aver scelto di partire, di affidarsi, di affezionarsi ed ora doveva imparare a lasciar andare. Solo così si sarebbe liberata dell’idea del possesso degli affetti e di quella disgustosa sensazione della perdita. Aveva la bocca amara, i rigurgiti di latte che le tornavano all’esofago, eruttava come i singhiozzi dei vulcani quando mettono in comunicazione la bocca con la pancia. Urlò sola, che no, non era ancora pronta a tutto questo implorando il perché delle domande retoriche.

Por ti amiga mia...


Todo cambia 
  
Cambia lo superficial
cambia también lo profundo
cambia el modo de pensar
cambia todo en este mundo

Cambia el clima con los años
cambia el pastor su rebaño
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño

cambia el más fino brillante
de mano en mano su brillo
cambia el nido el pajarillo
cambia el sentir un amante

Cambia el rumbo el caminante
aunque esto le cause daño
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño

Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia

cambia el sol en su carrera
cuando la noche subsiste
cambia la planta y se viste
de verde en la primavera

Cambia el pelaje la fiera
cambia el cabello el anciano
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño

Pero no cambia mi amor
por mas lejos que me encuentre
ni el recuerdo ni el dolor
de mi tierra y de mi gente

Y lo que cambió ayer
tendrá que cambiar mañana
así como cambio yo
en esta tierra lejana.

Cambia, todo cambia...



Tutto cambia

Cambia ciò che è superficiale
e anche ciò che è profondo
cambia il modo di pensare
cambia tutto in questo mondo.

Cambia il clima con gli anni
cambia il pastore il suo gregge
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia il più prezioso brillante
di mano in mano il suo splendore,
cambia nido l'uccellino
cambia il sentimento degli amanti.

cambia direzione il viandante
sebbene questo lo danneggi
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia.

Cambia il sole nella sua corsa
quando la notte persiste,
cambia la pianta e si veste
di verde in primavera.

Cambia il manto della fiera
cambiano i capelli dell'anziano
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Ma non cambia il mio amore
per quanto lontano mi trovi,
né il ricordo né il dolore
della mia terra e della mia gente.

E ciò che è cambiato ieri
di nuovo cambierà domani
così come cambio io
in questa terra lontana.

Cambia, tutto cambia...