martedì 28 ottobre 2014

Radici aeree, rami terreni

L'ho visto, perciò esiste. Ed io voglio essere così!
Un albero con le radici fine, tutte incrociate a formate un reticolo a mezzometro da terra, sul quale poggia il fusto diretto in cielo. Si perché non è mica che uno deve per forza affondare le radici in profondità, sempre nello stesso humus che poi, a lungo andare, diventa pure sterile se le foglie, sempre verdi, non cadono per ripristinare il ciclo vitale.

Io sono nata così, sotto le stelle cadenti. Mi hanno insegnato a lasciare strisce nel cielo sfrecciando veloci. Giro da un posto all'altro, senza sosta, mi s-posto a piedi, in macchina, in treno, scivolo sull'acqua quando nuoto. Non mi rendo più conto che il tempo è composto da multipli di sessanta. Prendo i mezzi quando passano, vivo tutto senza attesa.

Sorrido al sole caldo, rido alle battute che mi ritraggono come una vagabonda, mi incupisco nel vedere segni di chiusura, delle volte mi impensierisco perché i denari sono insufficienti a coprire le distanze dei legami. Sto con tutti, mi rifugio in pochi posti, quando mi stanco di essere, gioco a nascondino dietro braccia avvolgenti. 

Andare diventa un esigenza tormentosa, nell'equilibrio tra la voglia di scoprire e il desiderio di decantare le emozioni. Così mi struggo, provando ad ascoltare il consiglio di "accettare il presente" che Osho mi sussurra nei suoi libri e la pulsione di mangiare conoscenza attraverso le esperienze. Voglio stare, ma devo andare.

Non provo il desiderio di riparo. Mi sento protetta solo quando sono tra le cure degli stranieri alla mia vita, che come me, si affidano ai viandanti senza farsi troppe domande.

Non ho bisogno di casa per stare bene, ma ho bisogno di un tempio lontano dall'immagine immaginata di come l'uomo deve vivere.

Cerco quiete tra il verde e l'azzurro, il vento caldo, l'aria salata e una terra rossa che sussurra vita.

Non ho un equilibrio esterno, ma nemmeno uno interno. Brancolo, posseduta da passioni che mi chiamano alla danza creativa, scuotono i miei rami e proseguono oltre, senza lasciare grossi segni.

Dei giorni sono persa. Quel senso appagante di amore universale mi abbandona, sputandomi fuori dall'occhio del ciclone come un'inutile carcassa. Botte ricamate sul mio spirito, vantano la meticolosità degli eventi che le hanno provocate. 

Torna la spinta a partire, la frenesia della novità, destinazioni e progetti si accavallano come quelli di un agente in missione. Io, che mi credo in missione da una vita. Quella stessa esistenza piena di parentesi in cui si comincia sempre da zero, insieme di giorni la cui bellezza va crescendo e sprigiona una felicità ribelle dura da estirpare.

Mi chiamano nomade, mia madre al solo sguardo le viene un nodo alla gola. Andare, è una forza che trascende il mio orizzonte. Penso che non ce la farò mai a confermare i miei talenti, probabilmente, non aspetto nemmeno questo.

" I viandanti vanno in cerca di ospitalità
nei villaggi assolati
e nei bassifondi dell'immensità
e si addormentano sopra i guanciali della terra
forestiero che cerchi la dimensione insondabile.
La troverai, fuori città
alla fine della strada"

Yuri Camisasca







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