mercoledì 29 ottobre 2014

Terra e sale

"...perché in fondo gli uomini sono il sale della terra"
 Sebastiao Salgado

Forse questo è il motivo per cui gli esseri umani non vivono nel mare. Non ce ne sarebbe bisogno.

Sedute sullo sgabello di un bar si discute sul mestiere dei fotografi, quelli seri, i reporter. Un'amica parla, lo sguardo concentrato verso la sua interiorità, più che in direzione dei gesti già precisi per girare la cartina attorno alla poltiglia di tabacco. Rollare sigarette è un'arte che mi affascina quando assume la disinvoltura dei movimenti meccanici. Fa parte di quelle situazioni creative che danno vita ad oggetti precedentemente inesistenti. Un minuto e la cosa inizia ad esistere, per sottostare alle rigide regole del tempo che passa, se l'utilizzo non ne determina la fine attraverso il consumo. E poi la fine della sigaretta è così umana che mi commuove, ceneri buone solo a scomparire nell'eterno.

"ho visto la mostra di Mittica di recente, Ashes, l'hai vista?"
"no" risposi
"un reporter che è andato nei territori di guerra e di disastri naturali come Chernobyl, per documentare e denunciare gli abusi degli uomini. Non riesco a capire come una persona sia in grado di testimoniare delle situazioni così crude. Io non so se ce la farei. Cosa sente uno che fa questo mestiere, quali sono le motivazioni che lo spingono a scattare, davanti alla miseria umana? Io mi pietrificherei di fronte a tutto ciò".

Cara amica ieri sono andata a vedere il film di Salgado "Il sale della terra", lui può mostrarti la sua personale risposta. Io ti scrivo la mia.

La spinta della passione per le immagini non è che un espediente attraverso il quale filtrare la realtà.  Egli nel documentario parla di vari progetti, ma ci sono due frammenti che hanno catturato la mia sensibilità. In una foto, come in un girone dell'inferno dantesco, ritrae una cava di estrazione dell'oro e commenta più o meno così "lì nessuno è schiavo, nessuno è obbligato a fare quel lavoro. L'unica schiavitù di cui si può parlare dipende dall'oro. Se uno trova un filone d'oro, tutta la squadra potrà scegliere un sacco da portare a casa. In quel sacco potranno esserci pepite preziose o solo della terra".

Molti anni dopo, in un progetto chiamato "Migrations", porta alla luce l'ignobile verità del genocidio perpetrato tra Ughanda, Rwuanda e Congo nel conflitto tra Hutu e Tutzi. Stupiscono le morti violente, ma ancor più i decessi dovuti alla fame ed alle epidemie. Il corpo di un bimbo legato da una corda come un pacco, mostra le pieghe molli della pelle attaccata allo scheletro in corrispondenza del laccio che stringe. Quasi non ci puoi credere che la membrana che tiene assieme il tuo corpo possa ridursi in quelle condizioni.
 In un'altra foto un padre porta la salma del figlio verso una catasta di altri cadaveri, come se stesse facendo un gesto già pevisto. Non si annusa umanità in quella scena.

Salgado attraverso la sua lente coglie la perdita dell'essenza nell'uomo, non c'è più la dignità nel benedire la vita ed affliggersi per la morte. Dice di esser tornato con lo spirito malato da una simile esperienza. Il desiderio di riacquistare fiducia lo porterà in giro per il mondo altri otto anni col progetto "Genesis", per documentare le meraviglie della natura sulla terra.

Penso che vivere il male ti succhi linfa vitale e l'unico modo per rigenerarsi sia agire per arginare questo fiume dalle inesorabili risorse. Molto spesso ciò comporta una danza ambigua, in cui non sai più se stringere la mano alla morte sia vita o semplicemente il movimento di una coreografia di cui non vorresti far parte.
Credo, allora, che per assolvere i propri scopi sia necessario mescolarsi, confondersi per conoscersi, senza paura delle conseguenze. Alla fine la tua essenza ne uscirà vincitrice.


Weddel sea, Antartic Peninsula, 2005

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