sabato 29 novembre 2014

Dentro, infondo, oltre

Ancora stesa sul letto, sentiva sotto il piumone bianco a righe rosse, il torace pesante. Mosse ripetutamente le gambe da un lato all'altro per stiracchiarsi. Il cuscino aveva l'odore di una notte passata a lottare nel sonno. Rabbia, sesso, abbandono, grida, fuga. Aveva consumato tutta la negatività degli ultimi anni in una scena striminzita all'aeroporto.
Prese posto, come ogni mattina, sulla sedia in cucina incastrata tra l'angolo della stanza ed il tavolo.
"Mi sento come se avessi pianto tutta la notte" disse Irene, con un gomito appoggiato al tavolo e l'altro in bilico sullo schienale della sedia. Incollò la schiena al muro freddo.
"Ti ho sentita, avevi un sonno agitato" rispose Frida versando il latte d'avena in una tazza "che è successo?"
"stanotte si è lottato duro con la mia vita passata. Poi mi sono ritrovata in una collina in mezzo alla foresta ed ho pianto per ore. Sto male, ho il magone"
Frida svita la moka per riempirla prima d'acqua e poi di caffè "da quanto non piangi?"
Irene guardò l'orologio sopra i fuochi, segnava l'una e trentacinque. Pensò che era tardi, anche in quella piovosa domenica pomeriggio avrebbe unito la colazione al pranzo "da poco più di un anno"
L'amica silenziosamente fece due calcoli per risalire all'evento preciso di quel tracollo emotivo. Irene afferrò il telefono per controllare quante conversazioni si era persa su whatssup ed a quanti messaggi non aveva risposto con smile, scimmiette o cuoricini.
" Saranno stati i discorsi di ieri sera o forse quel comico triste o la pioggia"
"Di che discorsi stai parlando Irene?"
"Ricordi quando siamo tornate verso la macchina tutti e tre, mentre te e Luis parlavate di questa città? Poi lui, con quel tono di voce ed il suo modo di parlare italiano, mi ricordava tantissimo qualcuno, ma non riesco a ricondurre il viso alla voce. Dicevate che questo posto ti da moltissimo, ma ti chiede qualcosa in cambio"
"Si, è vero e tu non sei qui per caso"
"Come sempre, ultimamente. Luis parlava di ombre che emergono, tu dicevi che qui affiorano tutte le tue fragilità" continuò Irene sottraendo un dito di burro di prima qualità dal panetto per spalmarselo sul pane "credo che mi abbiate influenzata. Stanotte ho sognato che mi arrabbiavo per questioni passate e poi un mio ex voleva fare sesso con me e io ci stavo, ma poi..."
"poi tu in qualche modo te ne andavi"
"si" sussurrò Irene sorseggiando quel fondo di caffè. Lo sentiva amaro come la parte di sè che non voleva considerare.
"Oggi devo uscire, avrai tutto il tempo di stare con te, piangere e fare ciò che ti pare"
Ascoltò le sue parole di spalle, uscendo dalla cucina, con quel macigno sullo sterno che non le permetteva di repirare senza sforzo. Tirò fuori dalla credenza il suo diario.
Scrisse qualche riga insoddisfacente. Si alzò dal divano su cui affondava fino alle spalle, acciuffò una matita spuntata e disegnò il suo dolore.






lunedì 24 novembre 2014

Sèducente



Ci sono parecchie cose della mia vita che mi sfuggono.
Si racconta che alcune persone si innamorino sistematicamente di altre con  delle caratteristiche ricorrenti. Ho sentito dire che gli esseri umani preferiscono unirsi a coloro che sono la risultante delle loro mancanze. Sono qui sul divano, alle sette di mattina di un lunedì iniziato storto.

Stanotte non ho chiuso occhio. Mi sarebbe piaciuto essere cliente dell’Osteria del caffèlatte citata nei libri di Carofiglio. Almeno non mi sarei sentita troppo sfasata. E invece no. Condividevo il letto con Marci che sbofonchiava, sussurrava, respirava con enfasi e si sta ancora godendo le sue meritate ore di pausa dal mondo.
Il motivo della mia insonnia riguarda certi fatti rinchiusi in una botola, di quelli che ormai pensi siano superati solo perché il tempo mangia i ricordi.
Si tratta di legami lasciati annodati, senza alcun desiderio di dare nome e tecnica a quel groviglio insensato.
Mi piacciono molto gli artisti, i musicisti, i circensi, si può dire che sono affascinata dalle persone che riescono a trasformare in pane le proprie abilità creative. Sono attratta da quelli coi dread, li trovo molto coraggiosi!
A ben pensarci non sono niente di tutto questo e vago alla ricerca di qualcuno che possa farmi assaporare quegli slanci attraverso le sue esperienze. Mi nutro dell’idea di queste esistenze a  tal punto che vorrei ridurre la cerchia dei miei amici solo a loro. Bene. Rimarrei sola.
Non sono un’artista e non ho amici veramente artisti. Qualcuno che conosco ci prova, nessuno ci mangia davvero. Sono magri, escono ogni quarto di luna e si arrabattano.

Io qualcuno affascinato da me lo conosco. Delle volte ci ho condiviso baci, abbracci, parole e promesse altre volte solo il letto, un passaggio o una cena. Parlo di uomini, ma anche di donne.
Si, esercito fascino verso alcuni solo perché faccio cose che loro non farebbero mai.
Rifiuto lavori rispettabili, scanso certe “comodità”, non controllo il mio futuro attraverso un conto in banca o la certezza che domani sarà uguale ad oggi. Mi faccio prestare soldi, oggetti, un pezzo di letto, chiedo una marea di favori dando in cambio qualche ridicola perla di saggezza confezionata qua e là.
Sono ligia nelle mie scelte, questo si. Se devo campare d’amore, libertà e vagabondaggio così sia, niente compromessi, se non quelli dei contratti che mi vincolano al massimo per lo spazio di una stagione. E poi riprendo il cammino.
Non mi piace esercitare fascino, alla lunga ti trovi ad essere catalizzatore di coloro che vorrebbero fare come te, ma non credono di avere la forza.

Io, invece, immaginandomi al loro posto mi chiedo che potenza disumana incarnino per accettare come dogmi tutti i principi che la loro vita impone.
Per certi aspetti mi incuriosiscono. La tranquillità di alcuni mi attrase e stupisce come il sorriso di un giocoliere con dieci palline tra le mani. Cocktail di equilibrio, abilità e tecnica .
Per adesso ho capito la lezione e provo a fare l’artista, ma un giorno quando le coincidenze della vita mi chiameranno a fare esercizi più ardui, proverò a sfoderare quell’energia onnipotente in grado di farmi alzare per dieci anni la mattina alla stessa ora, guidare, portare i figli a scuola, lavorare, relazionarmi con gli altri, fare la spasa, dar da mangiare al gatto con tutta la dedizione del mondo. O forse non avrò mai tutto questo, mi rimarranno solo le abitudini alle quali consacrare la mia attenzione.
Il mio uomo non farà parte della lista, lui non sarà mai un’abitudine.
Prima o poi dovrò anche dare prova al mio coraggio, diventerò rasta, così neppure loro avranno una corsia preferenziale nelle frequentazioni dei miei sentimenti.
Da oggi inizio a farmi carico di ciò che mi seduce, non correrò ad appianare tutte le mancanze, inizierò a valutare che forse molte non sono degne di quel nome, mentre altre sono solo aspetti che devo ancora affrontare.
E Marci, tu che dormi indisturbata sul soppalco, smetti di russare mentre schiudo conchiglie con perle dal dubbio valore pecuniario.

Questo post lo dedico a me perché la devo smettere di dare consigli  agli altri quando sono io la prima a dover seguire i miei e poi anche ad un’altra manciata di persone.



lunedì 17 novembre 2014

vegan week part 2



Giorno 3
E’ tardo pomeriggio Marcella è appena tornata dalla sua intensa giornata di appuntamenti tra un ufficio ed un altro. E’ nervosetta, la vedo. Ma imputo i suoi umori allo scorribanda con la madre in macchina. Non ho mai avuto il piacere di percorrere un tragitto nella sua fiat panda rossa, ma pare sia un’esperienza indimenticabile.
“non puoi capire oggi cos’è successo!” esordisce sempre così Marcellina, anche per dirmi che ha trovato un pacco di ceci in offerta. I ceci quanto sono vegan!
“Di”
“ero con mia madre in macchina, un tipo passa a lato e ci porta via lo specchietto di netto. Si ma sai dove?”
“a Torino?” asserisco
“si vabbè, ovvio! In via San Donato. E’ la stessa via dove lunedì (siamo a  mercol9edì) mia madre ha tirato sotto il pedone sulle strisce, ricordi?”
“Si ricordo, quello che non vi sete fermati, perché con un rocambolesco movimento di reni è rimasto in piedi e quindi avete dedotto che stava bene!”
“Si esatto, ma sai questo cosa significa?”
“Mah Marci non essere dura con tua madre, non sa guidare, ma…”
“Significa che in via San Donato non ci dobbiamo più andare. Non porta bene! Comunque oggi sono stata bravissima, ero a pranzo da lei e mi ha presentato una zuppa surgelata in segno di rispetto dei miei principi. Stavo aprendo la bocca per mangiare la prima cucchiaiata quando ho pensato di dare un’occhiata agli ingredienti. E sai cos’ho scovato in quella innocua minestrina? Formaggio. Si Lui. Quel malefico derivato del latte che acidifica il sangue. E non l’ho mica mangiata eh”
“Mitica! Ma l’hai buttata? “
“No, se la farà fuori lei stasera presumo”.
Sono le sei e decido che da oggi si mangia bene. Cucino ogni verdura disponibile in frigo e poi lesso le patate, c’è pure un avanzo di crema di zucca, un po’ di pane integrale ai semini magici e quel cartoccio rettangolare contente “latte di avena”. Taglio a cubetti il pane raffermo, lo immergo nella vellutata con un goccio di quel liquido biancastro e spezio con curcuma e curry. Impasto il tutto con le patate schiacciate, sale e pepe.  Separatamente unisco gli spinaci freschi spadellati con olio e aglio (tanto aglio ovunque, questo è un altro problema del veganesimo) alle patate schiacciate leggermente dorate, noce moscata, mandorle tritate, capuliato (patè di pomodori secchi siculo), sale e pepe. Passo tutte le polpette nel pan grattato e ci macino pure quel mezzo pacchetto di cracker avanzato. La filosofia del NON-si-butta-via-niente ci accompagna, eccetto per quelle mini banane comprate a Porta Palazzo che a vederle sembravano la seconda importante svolta dopo i semini, ma in realtà si sono rivelate troppo piccole e fibrose per le nostre esigenze.
Passo le polpettine nella padella antiaderente con un filo invisibile di olio. Preparo anche delle melanzane con tanto aglio ed un pesto di menta. Sono belle unte, sennò sanno da poco e io non voglio più vedere gli occhi da cerbiatto triste. L’ho trascinata fino a qui, ora mi sento responsabile.
Marcella entra in cucina, apre l’anta bassa del mobile di fianco al frigo, quella dove ci sono gli elettrodomestici e tutte le cose inutili.  Sposta una scatola in cartone cilindrica che sembra fatta di carta da parati a strisce bianche e rosa con la scritta Horvat. E’ una scatola di biscotti, sicuramente un regalo di un’amica dai gusti shabby chic. Infastidita esclama  “anche sti cosi, mi devo decidere a buttarli, sono scaduti da almeno un anno”.
Mi metto una mano alla bocca, non ci posso credere. L’ho fatto e non me ne sono nemmeno accorta, Marci mi guarda. Mi limito solo ad emettere un “noooooo”, insiste “cosaa? Che hai fatto. Li hai mangiati? Ma Mari son scaduti!”. Proprio io, il controllore supremo, il dio manicheo che con un’accetta sancisce ciò che è bene e ciò che è male.
“Non sono vegan! Tragedia, ho mangiato un biscotto burro-uova-farina-zucchero, e non me ne sono nemmeno accorta”. Ormai il mio corpo gioca a nascondino col mio apparato di vigilanza, sono alla frutta!
Alza gli occhi, di nuovo quello sguardo. Voglio evaporare. Evadere dalla finestra della cucina al primo piano, ma ahimè ha le sbarre. Devo sopportare la sua delusione immane. Sono depressa.
Mi ci vorranno due bicchieri di vino rosso, del Grignolino, per allontanare dalla mia anima la sua espressione delusa.
Mangiamo tortilla di farina di segale Molino Marino (sempre 2,70 eur chilo,) uno sformatino di basmati, melanzane alla menta e polpette. Tante da farle tornare il sorriso del buonumore.
Il pane di segale e cioccoloato ormai ha lo stesso peso specifico della palla medica. Proviamo a scioglierci del cioccolato fuso, rianimarlo col liquido d’avena, ammorbidirlo con la vellutata di zucca, ma il quadro clinico rimane invariato. Decidiamo di staccare la spina. La nostra coscienza pesa tre mini banane, un pane al cioccolato, un biscotto ed un mela ammaccata.

Giorno 4

Marcella, dopo un fortissimo mal di gola post cena sorto la sera precedente, ha la febbre. E’ di pessimo umore. Si mette la palandrana di lana a frange tinta panna, scalda acqua come un boiler ed ingurgita alternativamente acqua minerale a tisane. Ormai non mette nemmeno via il tagliere con la radice di zenzero ed il limone mezzo spremuto. Ci sarà sicuramente un’altra tisana per consumali. Non la vedo affatto bene oggi.
Esco, vado a vedere il Po’. Qui l’autunno distribuisce colori a mangiate come se il mondo non conoscesse tenebre. Mi rincuoro. Rientro con delle birre e dei nachos. Tutto rigorosamente vegan.
Lei non beve alcool, continua a vagare con le ciabatte d’agnello, la giacca di lana e la tazza che lascia effluvi balsamici e piccanti. Non la vedo affatto bene e per di più non mangia. E’ la prima volta che rifiuta del cibo. Ritaglia un angolino della farinata di ceci appena sfornata e si sazia subito. Io mi scolo una corona con mezzo lime, mi mangio tutti i nachos con salsetta piccante fatta da me e per non sbagliare mi apro un weisse bier tedesca. MI sento gonfia, ma rispetto i miei principi vegani.

Giorno 5

Marcella sta meglio. Sorride, azzanna una tortilla con miele, mangia noci e parla della cena di stasera. Adesso la riconosco. Va in bagno tutta la mattina per smaltire la sbronza da tisane e l’effetto dei ceci, poi come se la cosa non la riguardasse esclama “ma com’è che è già finita la carta igienica? Che ce la mangiamo?”
“E’ vero che da quando siamo vegan io vado tre volte al giorno a scaricare materiale radioattivo, ma pure tu…”
“io faccio sempre pipì…” rimbomba dal tugurio con la porta rigorosamente aperta “segna, dobbiamo comprare la carta ed i ceci per i falafel e l’hummous”.
I ceci e la carta, un acquisto che non si può fare separato, se consumi uno poi, inevitabilmente devi usare anche l’altro in dosi industriali.
Il problema di questi cibi è anche l’aglio, in dosi massicce per insaporire quei legumi salva vegani. La sera avverto le nostre ospiti, tutte donne, tutte single “guardate che c’è aglio in ogni boccone”. Non sembrano contrariate, a parte una, Lilith che, mentre gira una sigaretta alternativa, esclama “noo, proprio stasera! Io volevo uscire dopo cena” . Oggi non fumo, non mi va. “A me piace l’aglio, ma non lo mangio per l’alito. Mi scoccia parlare a uno con la fiatella da aglio. Quando ho la febbre io uso l’aglio perché è un antibiotico naturale, ma non lo mangio. Me lo ficco come una supposta, e la mattina sto bene”.
Il mio stupore si cela dietro ad uno sguardo comprensivo, come se ne avessi già sentite a decine di ste storie. Dentro di me penso che uno spicchio d’aglio su per il culo io non so se me lo metterei. Ma ognuno usa i rimedi che crede per star meglio. Io faccio una settimana da vegana.

Giorno 6
Marcella urla dal letto “metti una polpettina a scaldare” poi si alza, strizzando le ultime gocce dell’ennesima bottiglia d’acqua minerale. Si riferiva al falafel avanzato. Oggi sfoggia dei pantaloni larghi africani sui toni dell’arancione ed una camicia in flanella taglia XL scozzese azzurrina. Non fa a tempo a sedersi in cucina che già deve correre in bagno. Sono i ceci e le tisane, una schiavitù! Torna in cucina con la tazza, che fa sempre la spola assieme a lei, “mi sento meglio con questa dieta. Dalla settimana prossima facciamo la dieta crudista. Anzi leviamo i farinacei. Anzi crudista senza i farinacei”
La guardo, mi sento come lo stronzo che ruba le caramelle ai bambini “ non ti sembra di esagerare? O l’uno o l’altro” non mi interrompe “ io leverei l’alcool”
“dici? Perché? No l’alcool no”
Ci accordiamo per una settimana crudista senza alcool, intanto penso che dovrò sperimentare nuovi sballi.
Torna in bagno, è la quarta volta in un’ora e mezza. I ceci!
“NOOOOOOOO” urla dal tugurio maleodorante “Mariiii 5 chili”
“Cosa?”
“Ho perso cinque chili in una settimana. Questa dieta è la svolta” sorride bevendo la milionesima bottiglia d’acqua.
“Io no, ho solo un gran male al fegato”
“bevi bevi” poi sottolinea “acqua”.

Oggi è sabato e non so cosa faremo la settimana prossima. So solo che la mia dieta equilibrata fino ad ora vinceva, perché mangiavo pochissimi latticini ma non sentivo l’obbligo dei divieti. Non avevo bisogno di incanalare le mie insoddisfazioni gustative verso altri piaceri e pesavo uguale. E’ l’ultimo giorno di dieta, perché si sa la domenica è di riposo per i nervi, già ampiamente messi alla prova.

Domenica off

Siamo andate al rifugio Jervis, 1750 mt. Era in mezzo alla neve. Salendo abbiamo saltellato su dei massi per attraversare un torrente in piena, ci siamo arrampicate su una scarpata piena di rovi, Marci un po’ si è arrabbiata per il “percorso avventura”, la faccia si è rinfrescata dalle carezze di una timida neve sottilissima. Sembrava un abbraccio. Una volta arrivati abbiamo ordinato del vino rosso, un tagliere di affettati, dello spezzatino, formaggio, salsicce col sugo, ed una polenta grezza cotta alla perfezione. Io non ho mangiato carne, salvo un angolino di salsiccia per assaggiare. Non ne sentivo il desiderio, ma del formaggio si. Eccome! L’ho lasciato fondere sotto una palata di polenta grezza e me la sono goduta nel palato. Che bello mangiare. Il mio corpo mi ha ringraziata per aver vibrato al suono dell’acqua che si infrangeva sui massi dei torrenti, per le cascate, il cielo rosa, per gli abeti dagli aghi giallo intenso, perché assaporava la fatica dei suoi passi. Lui ha bisogno solo di questo per essere felice e poi tanto…tanto sole.



mercoledì 12 novembre 2014

vegan week



Com’è che un essere umano dotato di facoltà intellettive elevate e mezzi materiali abbondanti decide di rinunciare ai derivati degli animali? Me lo sono sempre domandata. Io che odio le etichette, persino quelle che indicano la temperatura di lavaggio degli abiti. Non sento l’esigenza di mangiare carne. Si vabbè qualche volta una fetta di mortazza me la ritrovo tra le fauci, ma è lei che si fionda in bocca. Si può dire, senza troppo urlarlo, che sono quasi “vegetariana”. Questo per aiutare il lettore ad incasellarmi nello spazio dell' articolo. Ho assistito a varie conferenze di vegani convinti in cerca di discepoli, ma no io non sono una seguace. Un mio amico di cui ho molta stima è diventato vegano in dopo aver letto “the China study”, ma non mi ha convinta. Quest’estate ho incontrato una persona che ha abbracciato questo stile di vita, in seguito ad una malattia che ha deteriorato la funzionalità delle articolazioni. Appena conosciuto, non sapendo il motivo delle sue scelte, ho preso a punzecchiarlo con le mie provocazioni “non capisco il motivo di una scelta così drastica, capisco i vegetariani, ma i vegani esagerano!”.
Mi risponde in maniera pacata “ si parte dal presupposto che l’acidificazione del sangue sia alla base delle malattie degli esseri viventi. Tutti i derivati provvedono ad una diminuzione del PH rispetto ai valori corretti”
Non lo sapevo, nonostante mi vantassi di aver seguito il movimento e varie conferenze. Oddio quanto mi piace vantarmi. Abbozzo un’informazione letta da qualche parte per reggere il gioco alla mia ignoranza “si in effetti l’essere umano ha l’intestino lungo tipico dei ruminanti erbivori…”
“si, infatti discendiamo dalle scimmie, i carnivori hanno l’intestino corto per espellere prima le tossine”
E penso tra me, gnurant che sono, mentre il mio amico racconta la sua esperienza positiva di purificazione e affievolimento dei dolori dopo quindici giorni dall’inizio di questa dieta. Sul momento non mi convinco, ci devo pensare. Ma è l’unica testimonianza che mi da materia solida su cui lavorare. Il fatto che dopo due anni, quasi in coincidenza col mio arrivo, abbia deciso di tornare vegetariano a causa della sua eccessiva perdita di peso, mi tende un ponte più agevole. Questo ragazzo non è un terrorista dell’alimentazione, non devo proteggermi.
Passano vari mesi, provo a mangiare quasi esclusivamente vegetarian, ma non vado oltre. IL mio grosso problema è la pizza con la mozzarella di bufala, la ricotta affumicata grattugiata sopra ad un piatto di ravioli per non parlare di una perla di grana sgranocchiata davanti ad calice di bianco, così a casa, alle sette di una serata qualunque, con un po’ di musica.
Adesso, dopo vari pellegrinaggi, mi trovo a Torino da un’amica. Una ballerina, un po’ frichettona, si dedica al reiki, fa session a casa di cui io sono cavia catalizzatrice di quelle strane energie cosmiche. Insomma la tipa giusta alla quale dire “guarda che da domani iniziamo la settimana vegan”.
Si gira, mi guarda con quei suoi occhietti da cerbiatto innocente pensando perché proprio a me.
Insisto “si mia cara, io da sola non ce la posso fare. In due ci sosteniamo a vicenda”
Abbassa gli occhi ed il suo tono di voce le fa sussurrare “va bene”.
“incominciamo domani. Niente merendine, grassi animali, latte…” proseguo la mia frase osservando quel fantastico aggeggio della nescaffè che fa la schiuma come al bar, lo tocco inspiro “oh che bello domani mattina mi faccio un bel CAP-pu-ci” mi fermo espiro “Nooo”.

Lunedì – giorno 1
Mi sveglio a casa da sola Marcella è uscita. Sul tavolo in cucina una brioche fresca. Ci passo davanti, pensando che di sicuro sua madre ne ha portata una ad entrambe. Non la scarto. Mangio una mela. Passo oltre all’aggeggio rosso del latte schiumoso, mi dirigo verso la macchinetta del caffè. Nella tazzina ci spremo due cialde. Mi siedo sul tavolo. Guardo il sacchetto, beh lo apro giusto per vedere di cosa si tratta. Tanto non mi piacerà nemmeno, sarà sicuramente a base di margarina. Quel grasso vegetale idrogenato ignobile che non tocco manco con un bastone.
Carina quella brioche. E poi la margarina è di origine vegetale. E’ un po’ giallina, avrà sicuramente l’uovo. Nel sacchetto ce n’è solo una, ciò significa che Marcella l’ha ingoiata senza masticarla. E negherà, sorridendo, coi suoi soliti cazzo di occhi da cerbiatto. E poi, ho capito vegana, ma sono ospite, sua madre è stata gentile, che fine farebbe se non la mangiassi. Buttar via per dei principi non fa parte della mia filosofia. Io sono elastica. Vabbè la assaggio. Non è tanto buona, è pure con quella marmellata stopposa all’albicocca, così dolce che mi prende la gola. Col coltello, ne limo un altro terzo, assaporo senza troppa convinzione, con la mano prendo l’ultimo pezzo per far sparire le prove.
Si da adesso si fa sul serio, cazzo!

Mercato di Porta Palazzo Torino
Qui è difficile sbagliarsi. Ci sono solo banchetti di verdure all’aperto, ovviamente facciamo finta che quella costruzione di metallo e vetri smerigliati strabordante di tome, tomini, salumi e prelibatezze di ogni forma e colore non esista. Non calcoliamo nemmeno i banchetti di verdura al confine con quella malefica costruzione. Marcella guarda da lontano e poi mi dice, come fosse un’idea geniale, “adesso ti porto a prendere le uova del contadino, quelle buone delle galline vere”. Sono afflitta solo all’idea di dover smorzare le sue pupille brillanti “no-derivati-di-animali”. A testa bassa sussurra “ ah, è vero!”.
Compriamo zucca, chili di spinaci, cime di rapa, patate in quantità, mele, noci, banane, rape, carote riusciamo a spendere dieci euro di frutta che a Porta Palazzo è come comprarsi la merce di un banchetto intero.
Torniamo da sua madre per recuperare alcune cose prima di fare ritorno a casa. Non c’è nessuno. Marcella apre il frigo, il suo viso si illumina ancora una volta, ho paura.
“Ci sono degli yogurt, quelli si che fanno bene”, ormai basta una sguardo, il mio, annichilito, che capisce subito e tira fuori dal frigo dei pomodorini secchi spingendoli in bocca con del pane.

Giorno 2
Mi alzo presto. Le ho promesso che questa settimana non le mancherà il piacere del gusto, cucinerò io tutte quelle cose vegan sfiziose, polpettine, hamburgerini, pane fatto in casa, couscous, farro, orzo. La sera prima impasto il pane con la farina di segale del molino Marino (2.70 eur a chilo, però è la migliore) con acqua sant’anna, lievito di birra, gocce di cioccolato e sale…poco. Alle otto inforno, per le nove quando si sveglia è pronto. La mia amica è felice, lo vede, si prepara il caffè, prende una bella tazza, e appoggia la sua colazione sulla tovaglietta americana. Afferra un coltello, taglia, morde. Di nuovo quella faccina, un po’ delusa. Il pane non sa da un cazzo, è senza sale. E io che faccio la pasticcera vorrei seppellirmi, povera la mia amica.
Ancora in trance, assonnata, ripiega sul pane integrale con-tutti-i-semini-esistenti (quello che poi riemergono tali e quali nella tazza del cesso ben impastati a tutto il resto degli scarti) lo tosta, prende dal frigo un panetto bianco. Sto parlando, non ci faccio caso. Mentre scarta, intervengo “ma quello è burroooooo!”..
Senza espressione, incarta il panetto riproducendo le stesse pieghe, gli da un bacino e lo ripone in frigo.
Si prepara ed esce. Da allora non ne so nulla fino alle cinque, quando arriva a casa affamatissima.
Le preparo un avocado con i pomodorini e ed una piadina SENZA-STRUTTO tagliata a triangolini. La risucchia e le torna il sorriso. Ci beve dietro una tisana. Sono le sei, io mi stappo una birra e giro una sigaretta alternativa. La sera prima abbiamo fatto una cena rigorosamente vegana e ci siamo scolati due bottiglie in tre, condite con qualche sigaretta alternativa. Io in genere non fumo e bevo con moderazione. Ma in questi giorni sento che questi vizi mi fanno bene, sono diventati esigenze.
Ceniamo con crema di zucca  e patate cospargendo sopra una quantità di semini da far crescere una foresta, li guarda, convinta "i semini sono la svolta!". Al posto del dolcetto mangiamo una fetta di pane segale e cioccolato. L’espediente della marmellata d’arancia lo fa diventare quasi un prodotto commestibile. Sono le undici quando Marcella fruga in cucina, viene in salotto con due carte aperte. E’ cioccolata. Me le porge, mi tocca far da controllore, come quello dell’autobus che ho scansato l’altro giorno senza biglietto. Quanto li odio, quanto mi odio. Le restituisco quella con la carta azzurro chiaro e bianco. Niet! E’ al latte. Trattengo quella con la carta nera e la dicitura extra fondente. Ingredienti: cocoa mass, sugar, cocoa butter, lecitine, emulsifier. Si può!
Mi domando se riprendere la mia dieta normale, con qualche latticino e due fette di crudo forse farebbe meglio delle porcate di origine non animale, ma resisto.

Giorno 3
Mi sveglio a casa da sola ed una scritta sul frigo 


PS. Forse ha pensato che la parola settimana è pura convenzione, perché alla fine anche Dio si è preso la domenica off.

venerdì 7 novembre 2014

La mia strada di terra...

C'è una poesia che ascolto spesso.
E' terra, vento, forza e sasso.

E' l'inno dei miei inizi, parole per uomini semplici, consapevoli dell'imprevedibilità del futuro.  Parole d'amore, di timore, illuminanti. Così, come spesso mi capita, col mio piccolo fardello parto  alla ricerca di qualcosa forse, sicuramente per eludere il tempo cronologico, quello inventato dagli uomini con ritmi troppo severi per me. E intanto cullo la parte più dolce e meno conosciuta di me stessa, la mia fagilità. Piccolezza di tempo passato a cercare di fare qualcosa di grande, piccolezza umana di fronte alle onde, piccolezza essenziale.

Sedici modi di dire verde

una strada di terra che inizia ai confini del niente
e il mio tutto che ancora si ostina a cercare una via
i pensieri che più della sabbia mi bruciano gli occhi
questi occhi che ancora ringraziano di essere qui
e la notte qui è notte davvero è la madre del buio
ed il nero è soltanto un colore della realtà

così un uomo sa sedici modi per dire verde
ed un altro ne ha uno soltanto per dire addio
l'immondizia non è solamente quella che si vede
essere bianco non è esattamente essere candido
e gli uomini perdono tempo perchè ne hanno
e le donne sopportano i pesi meglio di me
e tutti camminano sempre ma poi per dove
tanto un albero è come un ombrello se piove

un viaggio regala a ognuno la sua storia
io sono convinto che mi salverò
così come ogni ritorno ha la sua gloria
un altro cerchio che si chiuderà
una strada di terra che inizia ai confini del niente
e il mio tutto che ancora si ostina a cercare una via, a cercare una via, a cercare una via

Niccolò Fabi




giovedì 6 novembre 2014

Incroci



Questo post è frutto di un "noi" corale, sorto da lunghe chiacchierate con persone che amo, sempre per lo stesso motivo...
Come si fa? Come si può anche pensare di continuare una relazione con una persona che, nonostante tutto, non riesce ad uscire dal ciarpame in cui è invischiata? Dice che non c’è nulla di fisico, ma non ci credo.
Non ho risposte, ho solo qualche opinione formatasi dall’erosione, le scosse ed i tornado che hanno modellato la mia sensibilità.

Inizio con una domanda, anzi, un’affermazione.
Possedere fisicamente una persona, non è indice di quell’intensa ed estesa relazione emotiva che etichettiamo sotto il nome di amore. Si da il caso che solo la cecità dogmatica della gelosia possa farti pensare che se scopi con qualcuno, lo ami pure. La gestione del corpo in una relazione di cui uno dei due intrattiene un rapporto con un altro è decisamente secondaria. E’ materia, un cestino nel quale gettare le proprie insicurezze.
Poco importa stabilire chi ha il primato cronologico del contatto. In genere a me succede che ho una storia o mi piace uno, ma ho bisogno di tempo per decidere se è una persona con la quale trascorre più dello spazio di un flirt e, nel frattempo, questo si organizza come meglio riesce.
Mi è capitato di stabilire rapporti davvero intensi con le persone a cui ho dato e ricevuto attenzioni, che si sono protratte nonostante avessero intrecciato storie con altre. Con loro, dopo l’ingresso delle nuove leve, solo implicazioni emotive, niente sesso. Il mio karma ne soffrirebbe troppo. Il mio è l’unico esempio di karma cattolico. Secondo questa ottica il corpo tradisce facendo l’amore con un altro, ma il cuore è libero di provare amore verso chiunque. Perché non è mica che puoi fare a meno di sentire con quel piccolo muscolo grande come un pugno chiuso al centro del petto!
E allora cosa fai? lo eviti, sottraendoti al piacere di condividere il tuo tempo con lui?  Per vedere in che direzione timonare la mia barca che puntualmente fa acqua da tutte le parti, cerco di capire cosa macina il frullatore del mio sentire. La sofferenza non mi piace, in questo caso cerco di prendere il largo il prima possibile. La gelosia non fa parte del mio DNA, chi prova questo sentimento non ha alcuna connessione con l’anima dell’amato. E poi possedere è una roba brutta, rovina sia chi trattiene tra lei mani che la sua preda. Il primo alla lunga diventa un meccanico controllore perdendo di vista il motivo  ed il secondo, una volta addomesticato, diventa prevedibilmente noioso agli occhi chi gli ha insegnato tutto. Ho provato una terza via, olistica, totale. L’oggetto del mio amore diventa soggetto ed il suo mondo un universo di cui devo tener conto, se desidero condividere la grandezza che mi scoppia dal petto.  Se riesci ad amare tutto, includendo la sua relazione, come parte di ciò che lo caratterizza, è possibile coltivare quell’affinità elettiva che ti porta a vedere pezzi di mondo con la stessa lente. Ovviamente devi mettertela via, voglio dire, con loro non si scopa, trovati altri, il mondo è pieno di personaggi sessualmente interessanti.  L’unico ostacolo a questo tipo di relazione è la passione, quella che ti attrae come una calamita col suo opposto. Può non essere una soluzione definitiva, ma solo un modo per stare bene adesso. Il pensiero proiettato al futuro non mi riguarda. E’ un pensiero troppo capitalistico,  l’accumulo della ricchezza non mi si addice.
Il verbo amare ha cambiato orizzonti da quando ho capito che lo tenevo al guinzaglio della monogamia. Niente e nessuno può impedirmi di coltivare legami forti, di quelli che sai i gusti, le preferenze e gli umori dell’altro. Di quelli che non serve uno sguardo, che annusi l’odore del suo buonumore, che scegli a colpo sicuro un posto nel quale stare assieme con semplicità.
In questi rapporti, i silenzi aumentano l’intimità dell’intesa se veramente esiste. Grazie a tali esperienze capisci le sfumature di una parola troppo abusata. Amore. Un sentimento che è possibile provare per varie persone, senza che la mancanza sussurri al mostro della gelosia che l’inverno è finito. Anche perché, sinceramente, ci sono diversi soggetti che hanno dei lati magnifici, ma altri insopportabili e non ha senso troncare definitivamente solo perché la strada ha svoltato altrove.
Basta andare in una valle montana, guardarsi intorno, aprire le braccia e pensare che l’amore è molto, molto più grande di così.

D’altra parte come fai a non uscire dalla relazione insoddisfacente nella quale sei invischiata/o?
Dal momento che quando siamo nella merda non ne sentiamo mai la puzza fino a che non arriva qualcuno che ci dice “lavati!”, penso sia altrettanto umano non essere obiettivi verso la nostra situazione. Si cerca sempre di essere generosi con sé stessi, e di stare con persone che lo sono con noi. Poi arriva chi ti offre doni e leccornie decantando la tua bellezza, che ti dice tutto quello che non ti sei mai sentita dire. Iniziavi quasi a pensare che la razza di “quelli lì” fosse frutto della tua immaginazione viziata da astruse fiabe puerili. Che se ci pensi, non è quello che ti dice, ma come ti fa sentire. E allora si apre una botola, dalla soffitta ammuffita cade il tuo vestito elegante, tu ci sei sotto, e ti si infila addosso. Ti guardi allo specchio e vedi una strafiga che Belen al confronto è solo una contadina volgarotta e la Gregoraci una povera accattona salvata dal mentecatto di turno.
Ma dove vai adesso, conciata in quel modo, se quando scendi le scale tutta agghindata, non trovi l’uomo che ti ha proiettato in quel mondo?
Ripercorri la strada a ritroso, passi in bagno per struccarti, impugni la maniglia della stanza da letto, cerchi l’abat jour per accenderla,  indossi il solito piagiama pantaloni-a-righe e t-shirt,  apri il libro che stavi leggendo “La solitudine dei numeri primi” e te la metti via. Pensando che ci sono situazioni irremovibili. Intanto il tuo uomo, quello con cui ti senti invischiata è di là, tranquillo che guarda la tv e ti chiede dal salotto se hai avuto una giornata stancante. E magari, se non hai le palle, gli rispondi pure di si raccontandogli qualche cazzata per convincerlo. Tanto se ti ama ancora, ti becca subito.
C’è qualcuna, invece, che quel vestito non se lo leverebbe nemmeno per andare a dormire. Magari quella sera non esce, ma rimane agghindata con le scarpe addosso e, guardando il soffitto, cerca l’occasione per sfoggiarlo, magari con te.
L’importante è continuare a sentirsi belle, anche quando nessuno ti illumina col suo sguardo. Perché la fiamma può essere accesa dall’esterno, ma poi si alimenta da dentro.
Ci vuole forza, esperienza, fiducia, costanza e tanto…tanto amore per sé stessi prima di vedersi da fuori, riconoscersi e trovare il modo per riuscire ad essere libere. Nessuno ti può liberare, questo sarebbe solo un passaggio da una schiavitù ad un’altra.