mercoledì 12 novembre 2014

vegan week



Com’è che un essere umano dotato di facoltà intellettive elevate e mezzi materiali abbondanti decide di rinunciare ai derivati degli animali? Me lo sono sempre domandata. Io che odio le etichette, persino quelle che indicano la temperatura di lavaggio degli abiti. Non sento l’esigenza di mangiare carne. Si vabbè qualche volta una fetta di mortazza me la ritrovo tra le fauci, ma è lei che si fionda in bocca. Si può dire, senza troppo urlarlo, che sono quasi “vegetariana”. Questo per aiutare il lettore ad incasellarmi nello spazio dell' articolo. Ho assistito a varie conferenze di vegani convinti in cerca di discepoli, ma no io non sono una seguace. Un mio amico di cui ho molta stima è diventato vegano in dopo aver letto “the China study”, ma non mi ha convinta. Quest’estate ho incontrato una persona che ha abbracciato questo stile di vita, in seguito ad una malattia che ha deteriorato la funzionalità delle articolazioni. Appena conosciuto, non sapendo il motivo delle sue scelte, ho preso a punzecchiarlo con le mie provocazioni “non capisco il motivo di una scelta così drastica, capisco i vegetariani, ma i vegani esagerano!”.
Mi risponde in maniera pacata “ si parte dal presupposto che l’acidificazione del sangue sia alla base delle malattie degli esseri viventi. Tutti i derivati provvedono ad una diminuzione del PH rispetto ai valori corretti”
Non lo sapevo, nonostante mi vantassi di aver seguito il movimento e varie conferenze. Oddio quanto mi piace vantarmi. Abbozzo un’informazione letta da qualche parte per reggere il gioco alla mia ignoranza “si in effetti l’essere umano ha l’intestino lungo tipico dei ruminanti erbivori…”
“si, infatti discendiamo dalle scimmie, i carnivori hanno l’intestino corto per espellere prima le tossine”
E penso tra me, gnurant che sono, mentre il mio amico racconta la sua esperienza positiva di purificazione e affievolimento dei dolori dopo quindici giorni dall’inizio di questa dieta. Sul momento non mi convinco, ci devo pensare. Ma è l’unica testimonianza che mi da materia solida su cui lavorare. Il fatto che dopo due anni, quasi in coincidenza col mio arrivo, abbia deciso di tornare vegetariano a causa della sua eccessiva perdita di peso, mi tende un ponte più agevole. Questo ragazzo non è un terrorista dell’alimentazione, non devo proteggermi.
Passano vari mesi, provo a mangiare quasi esclusivamente vegetarian, ma non vado oltre. IL mio grosso problema è la pizza con la mozzarella di bufala, la ricotta affumicata grattugiata sopra ad un piatto di ravioli per non parlare di una perla di grana sgranocchiata davanti ad calice di bianco, così a casa, alle sette di una serata qualunque, con un po’ di musica.
Adesso, dopo vari pellegrinaggi, mi trovo a Torino da un’amica. Una ballerina, un po’ frichettona, si dedica al reiki, fa session a casa di cui io sono cavia catalizzatrice di quelle strane energie cosmiche. Insomma la tipa giusta alla quale dire “guarda che da domani iniziamo la settimana vegan”.
Si gira, mi guarda con quei suoi occhietti da cerbiatto innocente pensando perché proprio a me.
Insisto “si mia cara, io da sola non ce la posso fare. In due ci sosteniamo a vicenda”
Abbassa gli occhi ed il suo tono di voce le fa sussurrare “va bene”.
“incominciamo domani. Niente merendine, grassi animali, latte…” proseguo la mia frase osservando quel fantastico aggeggio della nescaffè che fa la schiuma come al bar, lo tocco inspiro “oh che bello domani mattina mi faccio un bel CAP-pu-ci” mi fermo espiro “Nooo”.

Lunedì – giorno 1
Mi sveglio a casa da sola Marcella è uscita. Sul tavolo in cucina una brioche fresca. Ci passo davanti, pensando che di sicuro sua madre ne ha portata una ad entrambe. Non la scarto. Mangio una mela. Passo oltre all’aggeggio rosso del latte schiumoso, mi dirigo verso la macchinetta del caffè. Nella tazzina ci spremo due cialde. Mi siedo sul tavolo. Guardo il sacchetto, beh lo apro giusto per vedere di cosa si tratta. Tanto non mi piacerà nemmeno, sarà sicuramente a base di margarina. Quel grasso vegetale idrogenato ignobile che non tocco manco con un bastone.
Carina quella brioche. E poi la margarina è di origine vegetale. E’ un po’ giallina, avrà sicuramente l’uovo. Nel sacchetto ce n’è solo una, ciò significa che Marcella l’ha ingoiata senza masticarla. E negherà, sorridendo, coi suoi soliti cazzo di occhi da cerbiatto. E poi, ho capito vegana, ma sono ospite, sua madre è stata gentile, che fine farebbe se non la mangiassi. Buttar via per dei principi non fa parte della mia filosofia. Io sono elastica. Vabbè la assaggio. Non è tanto buona, è pure con quella marmellata stopposa all’albicocca, così dolce che mi prende la gola. Col coltello, ne limo un altro terzo, assaporo senza troppa convinzione, con la mano prendo l’ultimo pezzo per far sparire le prove.
Si da adesso si fa sul serio, cazzo!

Mercato di Porta Palazzo Torino
Qui è difficile sbagliarsi. Ci sono solo banchetti di verdure all’aperto, ovviamente facciamo finta che quella costruzione di metallo e vetri smerigliati strabordante di tome, tomini, salumi e prelibatezze di ogni forma e colore non esista. Non calcoliamo nemmeno i banchetti di verdura al confine con quella malefica costruzione. Marcella guarda da lontano e poi mi dice, come fosse un’idea geniale, “adesso ti porto a prendere le uova del contadino, quelle buone delle galline vere”. Sono afflitta solo all’idea di dover smorzare le sue pupille brillanti “no-derivati-di-animali”. A testa bassa sussurra “ ah, è vero!”.
Compriamo zucca, chili di spinaci, cime di rapa, patate in quantità, mele, noci, banane, rape, carote riusciamo a spendere dieci euro di frutta che a Porta Palazzo è come comprarsi la merce di un banchetto intero.
Torniamo da sua madre per recuperare alcune cose prima di fare ritorno a casa. Non c’è nessuno. Marcella apre il frigo, il suo viso si illumina ancora una volta, ho paura.
“Ci sono degli yogurt, quelli si che fanno bene”, ormai basta una sguardo, il mio, annichilito, che capisce subito e tira fuori dal frigo dei pomodorini secchi spingendoli in bocca con del pane.

Giorno 2
Mi alzo presto. Le ho promesso che questa settimana non le mancherà il piacere del gusto, cucinerò io tutte quelle cose vegan sfiziose, polpettine, hamburgerini, pane fatto in casa, couscous, farro, orzo. La sera prima impasto il pane con la farina di segale del molino Marino (2.70 eur a chilo, però è la migliore) con acqua sant’anna, lievito di birra, gocce di cioccolato e sale…poco. Alle otto inforno, per le nove quando si sveglia è pronto. La mia amica è felice, lo vede, si prepara il caffè, prende una bella tazza, e appoggia la sua colazione sulla tovaglietta americana. Afferra un coltello, taglia, morde. Di nuovo quella faccina, un po’ delusa. Il pane non sa da un cazzo, è senza sale. E io che faccio la pasticcera vorrei seppellirmi, povera la mia amica.
Ancora in trance, assonnata, ripiega sul pane integrale con-tutti-i-semini-esistenti (quello che poi riemergono tali e quali nella tazza del cesso ben impastati a tutto il resto degli scarti) lo tosta, prende dal frigo un panetto bianco. Sto parlando, non ci faccio caso. Mentre scarta, intervengo “ma quello è burroooooo!”..
Senza espressione, incarta il panetto riproducendo le stesse pieghe, gli da un bacino e lo ripone in frigo.
Si prepara ed esce. Da allora non ne so nulla fino alle cinque, quando arriva a casa affamatissima.
Le preparo un avocado con i pomodorini e ed una piadina SENZA-STRUTTO tagliata a triangolini. La risucchia e le torna il sorriso. Ci beve dietro una tisana. Sono le sei, io mi stappo una birra e giro una sigaretta alternativa. La sera prima abbiamo fatto una cena rigorosamente vegana e ci siamo scolati due bottiglie in tre, condite con qualche sigaretta alternativa. Io in genere non fumo e bevo con moderazione. Ma in questi giorni sento che questi vizi mi fanno bene, sono diventati esigenze.
Ceniamo con crema di zucca  e patate cospargendo sopra una quantità di semini da far crescere una foresta, li guarda, convinta "i semini sono la svolta!". Al posto del dolcetto mangiamo una fetta di pane segale e cioccolato. L’espediente della marmellata d’arancia lo fa diventare quasi un prodotto commestibile. Sono le undici quando Marcella fruga in cucina, viene in salotto con due carte aperte. E’ cioccolata. Me le porge, mi tocca far da controllore, come quello dell’autobus che ho scansato l’altro giorno senza biglietto. Quanto li odio, quanto mi odio. Le restituisco quella con la carta azzurro chiaro e bianco. Niet! E’ al latte. Trattengo quella con la carta nera e la dicitura extra fondente. Ingredienti: cocoa mass, sugar, cocoa butter, lecitine, emulsifier. Si può!
Mi domando se riprendere la mia dieta normale, con qualche latticino e due fette di crudo forse farebbe meglio delle porcate di origine non animale, ma resisto.

Giorno 3
Mi sveglio a casa da sola ed una scritta sul frigo 


PS. Forse ha pensato che la parola settimana è pura convenzione, perché alla fine anche Dio si è preso la domenica off.

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