lunedì 17 novembre 2014

vegan week part 2



Giorno 3
E’ tardo pomeriggio Marcella è appena tornata dalla sua intensa giornata di appuntamenti tra un ufficio ed un altro. E’ nervosetta, la vedo. Ma imputo i suoi umori allo scorribanda con la madre in macchina. Non ho mai avuto il piacere di percorrere un tragitto nella sua fiat panda rossa, ma pare sia un’esperienza indimenticabile.
“non puoi capire oggi cos’è successo!” esordisce sempre così Marcellina, anche per dirmi che ha trovato un pacco di ceci in offerta. I ceci quanto sono vegan!
“Di”
“ero con mia madre in macchina, un tipo passa a lato e ci porta via lo specchietto di netto. Si ma sai dove?”
“a Torino?” asserisco
“si vabbè, ovvio! In via San Donato. E’ la stessa via dove lunedì (siamo a  mercol9edì) mia madre ha tirato sotto il pedone sulle strisce, ricordi?”
“Si ricordo, quello che non vi sete fermati, perché con un rocambolesco movimento di reni è rimasto in piedi e quindi avete dedotto che stava bene!”
“Si esatto, ma sai questo cosa significa?”
“Mah Marci non essere dura con tua madre, non sa guidare, ma…”
“Significa che in via San Donato non ci dobbiamo più andare. Non porta bene! Comunque oggi sono stata bravissima, ero a pranzo da lei e mi ha presentato una zuppa surgelata in segno di rispetto dei miei principi. Stavo aprendo la bocca per mangiare la prima cucchiaiata quando ho pensato di dare un’occhiata agli ingredienti. E sai cos’ho scovato in quella innocua minestrina? Formaggio. Si Lui. Quel malefico derivato del latte che acidifica il sangue. E non l’ho mica mangiata eh”
“Mitica! Ma l’hai buttata? “
“No, se la farà fuori lei stasera presumo”.
Sono le sei e decido che da oggi si mangia bene. Cucino ogni verdura disponibile in frigo e poi lesso le patate, c’è pure un avanzo di crema di zucca, un po’ di pane integrale ai semini magici e quel cartoccio rettangolare contente “latte di avena”. Taglio a cubetti il pane raffermo, lo immergo nella vellutata con un goccio di quel liquido biancastro e spezio con curcuma e curry. Impasto il tutto con le patate schiacciate, sale e pepe.  Separatamente unisco gli spinaci freschi spadellati con olio e aglio (tanto aglio ovunque, questo è un altro problema del veganesimo) alle patate schiacciate leggermente dorate, noce moscata, mandorle tritate, capuliato (patè di pomodori secchi siculo), sale e pepe. Passo tutte le polpette nel pan grattato e ci macino pure quel mezzo pacchetto di cracker avanzato. La filosofia del NON-si-butta-via-niente ci accompagna, eccetto per quelle mini banane comprate a Porta Palazzo che a vederle sembravano la seconda importante svolta dopo i semini, ma in realtà si sono rivelate troppo piccole e fibrose per le nostre esigenze.
Passo le polpettine nella padella antiaderente con un filo invisibile di olio. Preparo anche delle melanzane con tanto aglio ed un pesto di menta. Sono belle unte, sennò sanno da poco e io non voglio più vedere gli occhi da cerbiatto triste. L’ho trascinata fino a qui, ora mi sento responsabile.
Marcella entra in cucina, apre l’anta bassa del mobile di fianco al frigo, quella dove ci sono gli elettrodomestici e tutte le cose inutili.  Sposta una scatola in cartone cilindrica che sembra fatta di carta da parati a strisce bianche e rosa con la scritta Horvat. E’ una scatola di biscotti, sicuramente un regalo di un’amica dai gusti shabby chic. Infastidita esclama  “anche sti cosi, mi devo decidere a buttarli, sono scaduti da almeno un anno”.
Mi metto una mano alla bocca, non ci posso credere. L’ho fatto e non me ne sono nemmeno accorta, Marci mi guarda. Mi limito solo ad emettere un “noooooo”, insiste “cosaa? Che hai fatto. Li hai mangiati? Ma Mari son scaduti!”. Proprio io, il controllore supremo, il dio manicheo che con un’accetta sancisce ciò che è bene e ciò che è male.
“Non sono vegan! Tragedia, ho mangiato un biscotto burro-uova-farina-zucchero, e non me ne sono nemmeno accorta”. Ormai il mio corpo gioca a nascondino col mio apparato di vigilanza, sono alla frutta!
Alza gli occhi, di nuovo quello sguardo. Voglio evaporare. Evadere dalla finestra della cucina al primo piano, ma ahimè ha le sbarre. Devo sopportare la sua delusione immane. Sono depressa.
Mi ci vorranno due bicchieri di vino rosso, del Grignolino, per allontanare dalla mia anima la sua espressione delusa.
Mangiamo tortilla di farina di segale Molino Marino (sempre 2,70 eur chilo,) uno sformatino di basmati, melanzane alla menta e polpette. Tante da farle tornare il sorriso del buonumore.
Il pane di segale e cioccoloato ormai ha lo stesso peso specifico della palla medica. Proviamo a scioglierci del cioccolato fuso, rianimarlo col liquido d’avena, ammorbidirlo con la vellutata di zucca, ma il quadro clinico rimane invariato. Decidiamo di staccare la spina. La nostra coscienza pesa tre mini banane, un pane al cioccolato, un biscotto ed un mela ammaccata.

Giorno 4

Marcella, dopo un fortissimo mal di gola post cena sorto la sera precedente, ha la febbre. E’ di pessimo umore. Si mette la palandrana di lana a frange tinta panna, scalda acqua come un boiler ed ingurgita alternativamente acqua minerale a tisane. Ormai non mette nemmeno via il tagliere con la radice di zenzero ed il limone mezzo spremuto. Ci sarà sicuramente un’altra tisana per consumali. Non la vedo affatto bene oggi.
Esco, vado a vedere il Po’. Qui l’autunno distribuisce colori a mangiate come se il mondo non conoscesse tenebre. Mi rincuoro. Rientro con delle birre e dei nachos. Tutto rigorosamente vegan.
Lei non beve alcool, continua a vagare con le ciabatte d’agnello, la giacca di lana e la tazza che lascia effluvi balsamici e piccanti. Non la vedo affatto bene e per di più non mangia. E’ la prima volta che rifiuta del cibo. Ritaglia un angolino della farinata di ceci appena sfornata e si sazia subito. Io mi scolo una corona con mezzo lime, mi mangio tutti i nachos con salsetta piccante fatta da me e per non sbagliare mi apro un weisse bier tedesca. MI sento gonfia, ma rispetto i miei principi vegani.

Giorno 5

Marcella sta meglio. Sorride, azzanna una tortilla con miele, mangia noci e parla della cena di stasera. Adesso la riconosco. Va in bagno tutta la mattina per smaltire la sbronza da tisane e l’effetto dei ceci, poi come se la cosa non la riguardasse esclama “ma com’è che è già finita la carta igienica? Che ce la mangiamo?”
“E’ vero che da quando siamo vegan io vado tre volte al giorno a scaricare materiale radioattivo, ma pure tu…”
“io faccio sempre pipì…” rimbomba dal tugurio con la porta rigorosamente aperta “segna, dobbiamo comprare la carta ed i ceci per i falafel e l’hummous”.
I ceci e la carta, un acquisto che non si può fare separato, se consumi uno poi, inevitabilmente devi usare anche l’altro in dosi industriali.
Il problema di questi cibi è anche l’aglio, in dosi massicce per insaporire quei legumi salva vegani. La sera avverto le nostre ospiti, tutte donne, tutte single “guardate che c’è aglio in ogni boccone”. Non sembrano contrariate, a parte una, Lilith che, mentre gira una sigaretta alternativa, esclama “noo, proprio stasera! Io volevo uscire dopo cena” . Oggi non fumo, non mi va. “A me piace l’aglio, ma non lo mangio per l’alito. Mi scoccia parlare a uno con la fiatella da aglio. Quando ho la febbre io uso l’aglio perché è un antibiotico naturale, ma non lo mangio. Me lo ficco come una supposta, e la mattina sto bene”.
Il mio stupore si cela dietro ad uno sguardo comprensivo, come se ne avessi già sentite a decine di ste storie. Dentro di me penso che uno spicchio d’aglio su per il culo io non so se me lo metterei. Ma ognuno usa i rimedi che crede per star meglio. Io faccio una settimana da vegana.

Giorno 6
Marcella urla dal letto “metti una polpettina a scaldare” poi si alza, strizzando le ultime gocce dell’ennesima bottiglia d’acqua minerale. Si riferiva al falafel avanzato. Oggi sfoggia dei pantaloni larghi africani sui toni dell’arancione ed una camicia in flanella taglia XL scozzese azzurrina. Non fa a tempo a sedersi in cucina che già deve correre in bagno. Sono i ceci e le tisane, una schiavitù! Torna in cucina con la tazza, che fa sempre la spola assieme a lei, “mi sento meglio con questa dieta. Dalla settimana prossima facciamo la dieta crudista. Anzi leviamo i farinacei. Anzi crudista senza i farinacei”
La guardo, mi sento come lo stronzo che ruba le caramelle ai bambini “ non ti sembra di esagerare? O l’uno o l’altro” non mi interrompe “ io leverei l’alcool”
“dici? Perché? No l’alcool no”
Ci accordiamo per una settimana crudista senza alcool, intanto penso che dovrò sperimentare nuovi sballi.
Torna in bagno, è la quarta volta in un’ora e mezza. I ceci!
“NOOOOOOOO” urla dal tugurio maleodorante “Mariiii 5 chili”
“Cosa?”
“Ho perso cinque chili in una settimana. Questa dieta è la svolta” sorride bevendo la milionesima bottiglia d’acqua.
“Io no, ho solo un gran male al fegato”
“bevi bevi” poi sottolinea “acqua”.

Oggi è sabato e non so cosa faremo la settimana prossima. So solo che la mia dieta equilibrata fino ad ora vinceva, perché mangiavo pochissimi latticini ma non sentivo l’obbligo dei divieti. Non avevo bisogno di incanalare le mie insoddisfazioni gustative verso altri piaceri e pesavo uguale. E’ l’ultimo giorno di dieta, perché si sa la domenica è di riposo per i nervi, già ampiamente messi alla prova.

Domenica off

Siamo andate al rifugio Jervis, 1750 mt. Era in mezzo alla neve. Salendo abbiamo saltellato su dei massi per attraversare un torrente in piena, ci siamo arrampicate su una scarpata piena di rovi, Marci un po’ si è arrabbiata per il “percorso avventura”, la faccia si è rinfrescata dalle carezze di una timida neve sottilissima. Sembrava un abbraccio. Una volta arrivati abbiamo ordinato del vino rosso, un tagliere di affettati, dello spezzatino, formaggio, salsicce col sugo, ed una polenta grezza cotta alla perfezione. Io non ho mangiato carne, salvo un angolino di salsiccia per assaggiare. Non ne sentivo il desiderio, ma del formaggio si. Eccome! L’ho lasciato fondere sotto una palata di polenta grezza e me la sono goduta nel palato. Che bello mangiare. Il mio corpo mi ha ringraziata per aver vibrato al suono dell’acqua che si infrangeva sui massi dei torrenti, per le cascate, il cielo rosa, per gli abeti dagli aghi giallo intenso, perché assaporava la fatica dei suoi passi. Lui ha bisogno solo di questo per essere felice e poi tanto…tanto sole.



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